lunedì, febbraio 18

coraggio



"Dopo un anno e mezzo trascorso su strade straniere, il ritorno in patria lo avevano immaginato in modo diverso. Charlotte e Robert, due sposi ragazzi, che si assomigliavano come due teneri e biondi fratelli - Charlotte e Robert, coi loro zaini pesanti, la tenda, la Leika, le biciclette blu cielo alquanto strapazzate - avevano percorso chissà quante migliaia di chilometri: da Parigi attraverso i dolci paesaggi della Francia, le fertili pianure italiane, i freschi boschi e i pascoli alpini del Brennero, attraverso l'amena Austria, con le sue piccole città rannicchiate nelle belle valli, le sue chiese barocche e il duomo di Santo Stefano, attraverso la puszta ungherese e le colline della Jugoslavia e i campi di rose bulgari, attraverso tutta l'Asia Minore e di là dalla colossale barriera dei monti del Tauro giù nella amichevole Siria - e questo era solo l'inizio, la prima e più facile tappa. Perché poi lasciarono il Mediterraneo, che per noi europei è sempre ancora patria, coi suoi castelli dei cavalieri crociati, le colline ricoperte di vigne e le colonne greche. Charlotte e Robert attraversarono con le loro biciclette il deserto siriano, ottocento chilometri senz'ombra - e, al di là delle alte e fredde creste delle montagne, arrivarono in Persia. Là, nell'estremo Nordest, nella città sacra di Maschad, alla fine di strade infinite e infiniti tratti di deserto, li incontrai per la prima volta. Abitavano da uno svizzero, erano magri e abbronzati, e visitammo insieme la tomba dell'Imam Reza, coperta da una volta a cupola di puro oro, i cortili di turchesi e lapislazzuli e le porte d'argento. Poi ci separammo, e ciò che fino a quel momento mi era sembrata un'avventura faticosa e pesante - il viaggio in Ford attraverso il quasi sconosciuto paesaggio dell'Afghanistan, su mulattiere e piste perse nel deserto - mi sembrava più facile, da quando sapevo che da qualche parte sulle mie tracce c'erano Charlotte e Robert.

Qualche volta dipingevo per loro un saluto sulla porta di un caravanserraglio o vicino a una cisterna, nei locali freschi coi soffitti a volta dove sicuramente si sarebbero fermati. Oppure lasciavo, all'Hotel di Herat, un pacchetto di Nescafè per loro. E alla fine, dopo due lunghi mesi, già alla fine dell'estate, ci incontrammo di nuovo a Kabul."

Annemarie Schwarzenbach, Mobilitazione a Kabul, trad. di Melania G. Mazzucco
http://www.speakers-corner.it/rizzoli/_minisiti/mazzucco/anne.htm
http://www.br-online.de/kultur/literatur/lesezeichen/20011202/img/schwarzenbach.jpg

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